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Il veleno
delle api
Terapia antiinfiammatoria
Dr. F. Feraboli
Per intraprendere con successo una terapia antiinfiammatoria a base
di veleno d'ape due sono i requisiti essenziali: un accurato
inquadramento diagnostico e, conseguentemente, la constatazione
dell'esistenza di una indicazione specifica. A questo proposito
sorprendente è l'analogia con il quadro omeopatico corrispondente
alla somministrazione del rimedio Apis.
Il campo d'azione del veleno (che diluito e dinamizzato è il
principio attivo di Apis) si estende a numerose affezioni acute e
croniche, quali gli stati infiammatori acuti articolari (ad esempio
il reumatismo articolare acuto e la gotta), alla eresipela,
all'artrosi e all'artrite reumatoide, all'orticaria, alla nefrite,
ai disturbi del sonno, e persino alla sclerosi multipla.
Dal punto di vista biochimico i componenti di spicco del veleno
sono: apamina, melittina e un particolare peptide detto peptide 401,
la cui azione sicuramente sinergica e polifunzionale è stata
accuratamente studiata, anche se molti sono i meccanismi
farmacocinetici ancora sconosciutí . L'ipotesi corrente sostiene che
il peptide agisca sull'ipofisi scatenando la produzione di ACTH e
quindi di cortisolo.
Particolarmente interessante mi sembra l'associazione a prima vista
casuale di patologie a carico del sistema nervoso e tegumentario nel
campo d'azione del veleno d'api: embriologicamente la loro origine è
comune, e tale proprietà, pur non chiarita in questi termini, è ben
riconosciuta dall'omeopatia.
A proposito dell'efficacia del veleno d'ape nella cura della
sclerosi multipla attualmente al vaglio di più di un importante
organismo scientifico internazionale, vorrei accennare, soltanto nei
termini di una suggestiva nuova ipotesi di lavoro, alla scoperta di
una scienziata americana, Candace Pert, sul ruolo dei peptidi, che,
come è noto, figurano fra i componenti principali del veleno.
Secondo Pert i peptidi sono veri e propri messaggeri molecolari che
interconnettono il sistema nervoso, immunitario ed endocrino,
tradizionalmente ritenuti distinti, in un'unica rete psicosomatica,
deputata all'autoequilibrazione dei processi organici.
I peptidi sono brevi catene di amminoacidi che si attaccano a
recettori specifici, i quali si trovano in abbondanza su cellule di
molti tipi: non solo, i peptidì stessi vengono secreti dal sistema
endocrino (ormoni), ma anche da quello nervoso (endorfine), e da
varie altre parti del corpo, al punto da non consentire alcuna netta
distinzione nè relativamente alla loro produzione, nè al loro
utilizzo da parte dell'organismo.
Nel sistema nervoso i peptidi sarebbero responsabili della maggior
parte della trasmissione di segnali emessi dai neuroni, oltre a
rappresentare la manifestazione chimica delle emozioni; nel sistema
immunitario (prodotti dai globuli bianchi, che possiedono recettori
per tutti i peptidi) controllano gli andamenti migratori delle
cellule ad esso appartenenti, le loro funzioni vitali, e,
soprattutto, la loro identità molecolare.
E' possibile (Pert si occupa dell'Aids, ma sarebbe interessante
poter verificare se anche nella sclerosi multipla hanno luogo le
stesse dinamiche) . che le patologie autoimmuni abbiano origine da
una disgregazione nella rete globale della comunicazione peptidica,
tale da spingere il sistema immunitario a compiere errori
"cognitivi" di riconoscimento, inducendolo ad attaccare le proprie
cellule.
L'introduzione a scopo terapeutico di peptidi di sintesi, (come il
"T" nell'Aids), o naturali (come il velenonella sclerosi multipla),
assolverebbe alla funzione di riparare la rete comunicativa
attraverso l'immissione di connettivi mancanti, ripristinando così
il corretto funzionamento del sistema immunitario. .
Il trattamento di tutte le patologie indicate fino ad ora è
pressoché standard e prevede l'applicazione di una media di 4-5
punture d'ape per seduta, 2-3 volte a settimana per circa 1 0 sedute
(nella sclerosi multipla il trattamento dura anni). I risultati
spesso si hanno a distanza di una quindicina di giorni dal termine
della terapia, una volta risoltasi l'irritazione locale provocata
dal veleno.
Desensibilizzazione al VELENO
Nel caso di allergia al veleno degli imenotteri si utilizza il
veleno specifico della specie, che ha causato la reazione, ad alte
diluizioni progressive fino ad arrivare alla puntura dell'insetto
vera e propria.
Non bisogna dimenticare Bódog Beck, medico ungherese, esperto di
apiterapia. La sua passione per le api è durata tutta la vita e lo
ha portato ad una profonda esplorazione di tutti gli aspetti del
loro mondo. Emigrò negli Stati Uniti, e all'inizio degli anni '30 si
affermò come medico generico in un locale ospedale, il Saint Mark,
trattò con l'apiterapia un migliaio di pazienti. Nel 1935 pubblicò
il libro
Bee Venom Therapy con l'obiettivo di presentare
sistematicamente tutto ciò che si sapeva sull'apiterapia, sia a
livello teorico che pratico. Beck si fece carico di raccogliere
l'esperienza dei colleghi di tutto il mondo e delle varie epoche.
Beck illustrò nel
libro come il veleno d'api funzionasse nei casi di
reumatismi, artrite, artrosi e dolori muscolari con le relative
controindicazioni e con la necessità di effettuare dei test allergologici preventivi.
Il veleno d'api
Tratto da
APITERAPIA di Bodog BECK
Il veleno d'api è una sostanza prodotta da alcune speciali ghiandole
situate nell'addome dell'ape ed espulsa con l'aiuto dell'apparato
del pungiglione. È un liquido acquoso limpido con un sapore
pungente, amaro e un odore aromatico (paragonabile a quello di
banane mature), una sostanza decisamente acida.
È facilmente solubile in acqua e acidi, quasi insolubile in alcool.
Contiene il 30% di materiale solido. Il peso di una puntura d'ape
media è di circa 0.2 0.3 mg, cioè circa 1/500esimo del peso corporeo
dell'ape.
Il veleno secca rapidamente a temperatura ambiente. Asciugandosi si
converte in una sostanza gommosa, senza alcuna perdita di virulenza.
E' molto termostabile, può infatti sopportare temperature di 100° C
per dieci giorni senza perdere la sua potenza. Il freddo, persino il
congelamento, non distruggono i suoi effetti.
L'alcool possiede un forte e distruttivo effetto sul veleno.
Fermenti digestivi e fermenti vegetali indeboliscono rapidamente il
veleno e, viceversa, il veleno d'api rapidamente ne compromette
l'efficacia, in una parola, si distruggono a vicenda.
L'ammoniaca e tutte le sostanze basiche neutralizzano prontamente e
completamente il veleno d'api. Gli acidi e gli antisettici forti lo
distruggono rapidamente. Sporcizia, fermenti autolitici e batteri
sono altresì distruttivi per il veleno. Non ha effetto sulla cute
integra (a meno di rarissimi casi di allergie in cui anche la
vicinanza di materiale apistico, un guanto o altro, può provocare
dermatosi pruriginose).
La sua azione è potente invece sulle membrane mucose, ad eccezione,
come già detto, del tratto alimentare; i fermenti salivari, gastrici
e intestinali lo distruggono rapidamente. Per questo il veleno d'api
(come quello di serpente), se ingerito è di solito inefficace.
Naturalmente se si succhia la ferita per soccorrere una vittima di
puntura d'api, non bisogna avere ferite o infezioni nel cavo orale.
In molti casi, un tale tipo di soccorso ha causato violenti sintomi
al soccorritore.
Produce un effetto particolarmente intenso sulla congiuntiva e le
mucose nasali. Una soluzione di veleno diluito 1 a 1000 produrrà
immediatamente una netta reazione sulla congiuntiva di un coniglio
(anzi tale reazione è così affidabile e costante che è usata per
valutare la virulenza del veleno d'api iniettabile). Il veleno secca
subito. Se tenuto lontano da umidità si conserverà per anni. Nella
glicerina si conserva indefinitamente senza perdere tossicità. (Weir-Mitchell
dissero di averlo conservato essiccato per 22 anni senza perdita di
potenza).
Secondo Langer, una soluzione allo 0.1% di veleno d'api ritarda la
crescita degli streptococchi (che si ritiene essere importanti
precursori dei problemi artritici). Gli streptococchi, rimessi in
un'altra soluzione, diversa da quella di veleno, riguadagnano la
loro precedente virulenza. Il veleno d'api, in genere, è libero da
batteri e previene in una certa misura la loro crescita. D'altra
parte i batteri diminuiscono l'efficacia del veleno. Essi sono
mutuamente distruttivi ma il veleno è il più potente dei due. Il
veleno d'api, che è in genere privo di batteri, non è però
considerato un antisettico molto efficace.
Effetti fisiologici del veleno d'api
Il veleno d'api produce sull'organismo umano tre tipi di reazioni:
effetti neurotossici, effetti emorragici, effetti emolitici.
Effetti neurotossici
Un'importante proprietà tossica del veleno d'api è la sua
aggressione ai tessuti nervosi centrali. Il processo è simile
all'azione di altri veleni neurotossici, per esempio il veleno di
serpente. L'effetto neurotossico del veleno d'api ha un'azione molto
marcata, specifica. Negli incidenti da punture d'api multiple, gli
effetti neurotossici delle punture d'api entrano in gioco mettendo a
rischio la vita della vittima: tanto più elevato è il pericolo
quanto maggiore la quantità di veleno assorbita.
Ecco un esempio: F.G. Cawston riportò un caso caratteristico in cui
le punture d'api causarono i sintomi tipicamente neurotossici. Un
uomo di mezza età fu punto sulle mani da numerose api dell'arnia del
suo vicino. La reazione locale fu limitata, ma l'uomo fu preso da
profusa sudorazione e il suo disturbo principale era costituito da
un dolore intenso dietro le gambe. Il polso era debole. Fu iniettata
stricnina, che migliorò il suo stato generale, ma il paziente
continuava ad avere il retro delle gambe dolente. Cawston fu
costretto a somministrare altra stricnina e, più tardi, eroina per
liberarlo dallo stato di disagio. Egli ipotizzò che il dolore nelle
gambe era stato causato da un coinvolgimento della colonna
vertebrale, probabilmente dovuto all'effetto neurotossico del
veleno.
Gli effetti emorragici ed emolitici (le due altre caratteristiche
del veleno) hanno un'azione più estesa, generale; invece l'effetto
neurotossico produrrà una specifica azione centrale che è poi
seguita da disturbi periferici. La parte neurotossica del veleno
d'api è molto più termostabile dell'emorragina o dell'emolisina.
Il veleno d'api, come il veleno di serpente, ha una maggiore
resistenza quando è in forma secca rispetto a quando è in soluzione,
e lo stesso può essere detto della neurotossina. L'effetto
neurotossico del veleno essiccato non sarà distrutto a -190°C. I
raggi solari hanno un forte effetto distruttivo sul veleno in
soluzione, ma non sul veleno essiccato.
Vediamo ora altri due casi clinici che riguardano gli effetti
neurotossici del veleno d'api sull'organismo.
Il Dr W., di Munster, Indiana, rispondendo al mio questionario,
scrisse che il 26 settembre 1933 fu punto su entrambe le caviglie e
sulla mano e braccio destro. Due giorni dopo egli avvertì intensi
dolori, soprattutto in corrispondenza della colonna vertebrale e
nelle gambe, che lo misero fuori uso per parecchi giorni. Dovette
camminare con l'aiuto di due stampelle per dieci giorni e fu
parzialmente disabile per un mese. I sintomi erano decisamente di
origine neurotossica. Ebbe numerose altre punture d'api dopo quella
volta, senza particolari reazioni.
Un uomo di 31 anni, apicoltore, ricevette una puntura sulla punta
dell'orecchio. Immediatamente fu colpito su tutto il corpo da
contrazioni, quasi crampi, simili a quelli provocati da uno shock
elettrico. Il dolore spasmodico durò circa mezz'ora, mentre la
vittima rimase del tutto paralizzata.
Effetti emorragici
L'effetto emorragico è una delle caratteristiche più salienti del
veleno d'api; anzi il sottoscritto crede che il valore terapeutico
del veleno sia dovuto principalmente alle sue proprietà emorragiche.
L'emorragina che il veleno d'api contiene è un veleno per il sangue.
La sua azione principale, come sappiamo da esperimenti su animali,
ha come oggetto gli elementi del sangue ma ha anche un forte effetto
sui vasi sanguigni stessi. L'emorragina porta i capillari a
diventare permeabili al sangue. Il sangue fuoriesce da tutte le
mucose e superfici sierose senza visibili lesioni. L'emorragina allo
stesso tempo ha un effetto depressivo sui vari centri nervosi e
sulle terminazioni dei nervi, causando una rapida diminuzione della
pressione sanguigna.
Langer effettuò molte autopsie su animali morti a seguito di dosi
fatali di veleno d'api e notò sempre un notevole versamento di
sangue nel pericardio, reni e intestino, oltre ad una generale
iperemia. La maggior parte di questi animali mostravano una marcata
congestione meningea, versamento di sangue nei ventricoli cerebrali
e altre emorragie intracraniali.
L'azione emorragica è prodotta dai protidi e dalle globuline del
veleno (che sono precipitate ma non distrutte dall'alcool). L'entità
dell'effetto emorragico del veleno è proporzionale alla quantità di
questi corpi per natura simili a globuline.
Prima che Flexner e Noguchi facessero le loro importanti scoperte
con veleno di serpente c'era grande confusione, non c'era una linea
di demarcazione tra i processi emolitici e quelli emorragici. Essi
affermarono: "Pensiamo che l'emorragina causi una citolisi delle
cellule endoteliali dei vasi sanguigni, la distruzione dei quali è
la causa diretta della fuga di sangue nelle strutture circostanti".
Il versamento ha luogo non per diapedesi (cioè passaggio di cellule
dal sangue attraverso le pareti intatte dei capillari), ma per vera
e propria rottura delle pareti, non coinvolge solo i globuli rossi
ma anche quelli bianchi.
L'emorragina invade il sistema nervoso centrale solo raramente. E il
principale componente tossico del veleno di crotalo nonché di quello
d'api. Questi due veleni hanno una speciale affinità per le cellule
endoteliali, delle quali le pareti dei vasi sanguigni e linfatici
sono costituite. Il veleno di cobra, dall'altra parte, ha una
speciale affinità per il sistema nervoso, producendo scarsi
mutamenti di altri tessuti. È forse un'affinità per la lecitina?
Gli esperimenti di Monac-Lesser, Taguet, Laignel-Lavastine e
Koressios, nel cercare di curare il cancro col veleno di cobra, mi
sembrano basati su un principio del tutto erroneo. Non è sicuramente
sorprendente notare il notevole effetto analgesico (che supera di
molto quella della morfina) che essi registrano persino in casi
incurabili, a causa dell'azione neurotossica del veleno di serpente.
Effetti emolitici
Un'altra importante caratteristica azione fisiologica del veleno
d'api sul sangue è il suo effetto emolitico, emotossico.
Il sangue ha di per sé una grande capacità antiemolitica, una misura
strettamente difensiva che è probabilmente dovuta al suo contenuto
di colesterina. L'intera teoria dell'immunità sembra basarsi sul
fatto che quando un organismo è immunizzato da graduali dosi di un
veleno o tossina, un automatico aumento di colesterina nel plasma
sanguigno agisce da difesa neutralizzante, da sostanza antitossica.
Già Phisalix aveva affermato che la colesterina ha un effetto
immunizzante sul veleno di serpente, e ne è un vero antidoto. Se una
piccola quantità di veleno d'api è aggiunta ad un campione di sangue
in una provetta, vi troveremo pochissimi eritrociti. Troveremo però
emoglobina e, analizzando al microscopio, metemoglobina. Il veleno
d'api è un potente veleno emolitico. L'effetto emolitico è prodotto
dall'emolisina, che agisce non solo sui globuli rossi del sangue ma
anche su quelli bianchi.
L'azione della lecitina è l'opposto di quella della colesterina. Se
aggiungiamo la lecitina al veleno d'api puro la loro combinazione (lecitide)
aumenterà notevolmente il potere emolitico del veleno. Morgenroth e
Carpi scoprirono che la lecitide del veleno d'api è 200 500 volte
più emolizzante del veleno stesso.
Le ricerche di Kyes e Sachs hanno una grande importanza per
l'immunologia. Nel veleno di animale, essi affermarono, c'è una
sostanza di carattere ambocettore che è enormemente attivata da
certi complementi del siero (la lecitina è uno di questi attivatori).
Più veleno è presente, di meno lecitina si ha bisogno per la
completa emolisi, e viceversa.
Anche l'effetto emolitico del veleno di cobra dipende dal contenuto
in lecitina del sangue. Flexner e Noguchi trovarono che la sostanza
emolitica del veleno di cobra ha due componenti: una è nel veleno e
l'altra componente, quella attivante, è nel siero sanguigno.
Morgenroth e Carpi pensarono che valesse la pena di portare avanti
ulteriori studi sulle caratteristiche della tossilecitide più che
sulle altre tossine. La tossilecitide è un prodotto a mezza strada
tra la prolecitide, sostanza non caratterizzata chimicamente, di
carattere ambocettore, e la lecitina. Molte domande sulle conoscenze
teoriche dell'immunità ci conducono alla tossilecitide come ponte
delle tossine batteriche.
La termostabilità del prolecitide del veleno d'api è minore di
quella del veleno di serpente. In una soluzione neutra, per due ore
a 37°C il suo effetto emolitico risulta più debole. D'altra parte,
la tossilecitide mostra elevatissima termostabilità. I veleni
emolitici hanno uno stato latente nel corpo. Con iniezioni attente e
graduali, si può raggiungere l'immunità.
Un fattore che entra in gioco nella reazione dell'organismo è il
tempo. Questo ci porta alla teoria di Ehrlich che parla di cellule
anti-tossiche che si legheranno a sostanze intruse o veleni. C'entra
qualcosa questo con il fatto che i sifilitici nei primi stadi della
loro malattia sono ipersensibili ai veleni emolitici, mentre in
seguito succede qualcosa per cui non lo sono più? Tutto ciò potrebbe
essere rilevante nella terapia del veleno d'api.
Bibliografia
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